Efficienza e imperfezione

 

 

È l’alba, Duemme passeggia sulla spiaggia.
Un cane randagio fissa l’orizzonte.
Duemme si avvicina.
— Ciao.
Il cane si volta.
Duemme gli si siede accanto, sulla sabbia umida.
— Cosa fai? — domanda al cane.
— Fisso l’orizzonte, non hai letto? No, in realtà penso. Essendo un cane non posso formulare concetti razionali come gli umani, però esercito spesso la memoria e quindi posso sembrare un gran pensatore. In questo momento cercavo di ricordare la storia dell’uomo che una mattina all’alba prende la barca e va per mare, senza fare più ritorno. La sua donna, che lo ama più di qualunque altra cosa al mondo, perde ogni interesse per la vita e si chiude nella loro casa, costruita sulla spiaggia. Una notte senza luna la donna sente l’impulso di entrare in acqua; il mare è una tavola nera. La donna rimane incinta. Inoltre richiamavo alla memoria i colori dei costumi da bagno che andavano l’anno scorso.
— L’anno scorso? Arancione e verde.
Duemme si accende una sigaretta.
— Si sta proprio bene qui — dice.
— La spiaggia è la zona franca, il confine tra razionale e ignoto per voi umani, un posto come gli altri per noi cani. Qui non c’è niente da difendere o preservare se non se stessi. Quando il mare è agitato insegna le raffinate tecniche dell’equilibrio, l’arte di applicare forze uguali e contrarie, azione e reazione. Infonde il coraggio di accettare serenamente quello che succederà. Quando il mare è calmo insegna a vivere il lato buono di ogni cosa, a leggere i colori, a scivolare, a trovare la maniera neutra che possa andar bene in ogni circostanza, che nulla è assoluto, e a guardare sempre negli occhi tutti e tutto.
— La sai lunga, cane, altro che memoria.
— Leggo la sabbia. Una volta al mese il mare e la luna fanno l’amore e generano una creatura nera che esce dall’acqua, si addormenta sulla riva e il mattino dopo diventa sabbia. I piccoli infiniti detriti di cui è composto sono tutti diversi tra loro e ciascuno racchiude una storia. Vedi quell’ombrellone laggiù, ad esempio? È l’ombrellone 109. Alla sua ombra sono successe cose che nessuno ricorda più. Questa spiaggia non è stata sempre affollata come adesso. L’accesso al mare era gratuito, chi voleva portava da casa la propria sdraio e gli ombrelloni non erano tutti uguali e allineati. L’ombrellone 109 non esisteva ancora, ma esisteva già la sua ombra. È in quell’ombra che Adele e Flavio si conoscono, nell’estate del 1952. Si frequentano per tutta l’estate, si danno appuntamento proprio qua, tutti i giorni. Finchè un giorno di settembre – il vento comincia a soffiare da nord e il mare è ormai gonfio e scuro – Flavio va a fare un bagno e sparisce tra i flutti.
— Questa non mi è piaciuta.
— Non è finita. Adele piange tutto l’inverno e l’anno dopo è di nuovo qui, sotto la stessa ombra, a fissare mestamente il mare. Le pare di veder uscire dall’acqua un corpo macilento, gonfio e ricoperto di alghe, che dice: “Amore mio, quanto mi sei mancata. Laggiù fa freddo ed è buio, ma d’ora in avanti ci scalderemo a vicenda”. Adele si alza e cammina verso il mare, lentamente, inabissandosi senza un lamento.
— Mi correggo, è una bella storia.
— Non è ancora finita. Dopo qualche anno, nell’estate del 1964, Antonio sta godendosi l’ombra proprio dove Adele e Flavio si erano conosciuti. Una zombi purulenta esce dall’acqua e dice: “Ti prego, portami via, non lo sopporto più”.
— Ora mi prendi per il culo.
— Certo.

 

polpo