Il caldo è soffocante, questa sera. La birra mi fissa, tiepida, e mi invita ripetutamente a sorseggiarla. Osservo gli altri clienti, come si muovono, ascolto quello che dicono. Sono ad un tavolino all’esterno, da qui è possibile vedere il lungomare, il molo, gli altri bar, il flusso costante di gente che passa e cessa di esistere. Sono solo. Le comitive mi scrutano diffidenti, una persona che beve da sola fa questo effetto.
Poi arriva lei. È sola. Si siede al tavolino di fronte. Ha una birra come la mia. Mi dà le spalle e guarda i passanti. Passiamo la serata così; poi, arrivata l’ora, mi alzo, butto la bottiglia nel cestino e m’incammino verso la macchina.
EDERA
La sera dopo sono ancora qui. La gente non finirà mai di incuriosirmi. Fa cose strane, e fa di tutto per non pensarci. Ho imparato a leggere i loro volti. Non sanno dove andare, e se ci vanno non sanno perché.
C’è di nuovo lei. Si siede e osserva. Mi fa paura, quasi quanto me stesso.
Una macchinetta a pochi metri di distanza ripete ad intervalli di qualche minuto: “Ciao, i miei test ti aiuteranno a conoscere qualcosa di più della tua personalità”. Mi piace, è rassicurante e mi diverte. La macchinetta si gira verso di me, mi guarda e dice: “Sei sicuro di voler sapere?”.
Avvicino la bottiglia alla bocca.
Proprio in quest’istante lei si volta e mi guarda. E anch’io mi vedo: ho un’espressione stupida.
Si alza e viene verso di me.
— Facciamo due passi? — dice — qui non si respira.
Mi alzo e ci avviamo verso il molo.
Dopo un po’ dico:
— È difficile trovare una persona con cui condividere il silenzio.
— Allora sta’ zitto.
Camminiamo piano sulla spiaggia, le nostre birre sono quasi finite.
— Devo andare — dice.
— Ci rivedremo?
— Certo.
Quando arrivo alla macchina penso che questo posto non è poi così male.
La notte faccio un sogno: nuoto in un liquido denso, verdastro, ma riesco a respirare, è carico d’ossigeno e la temperatura è tiepida. Poi si avvicinano delle piccole sfere verdi, trasparenti.
“Sono cloroplasti” penso, ne avvicino uno e gli dò un bacino.
La sera successiva vado direttamente sulla spiaggia.
Dopo un po’ lei arriva.
— Sapevo di trovarti qui — dice.
— Al bar fa caldo. Qui c’è più spazio.
Si siede accanto a me, sulla sabbia. Mi guarda per un po’.
— Cosa hai fatto alla faccia?
— Sempre meno di quanto lei abbia fatto a me.
Sorride.
Ha un bellissimo sorriso.
— Sono qui in vacanza — dice — domani riparto.
— Peccato. Ora che avevo trovato una persona con cui non parlare.
— Non sono ancora partita.
— Ci rivedremo?
— Pensa al presente.
— Appena ci penso è già passato.
Si spezza il mignolo. Fa uno schiocco, come un ramoscello. Me lo porge.
— Prendilo, è tuo — dice.
Lo metto in tasca.
Passeggiamo un po’. Guardiamo a lungo i cani randagi che dormono sulla spiaggia, poi facciamo l’amore.
Appena giungo a casa prendo un bicchiere, lo riempio d’acqua e ci metto il dito.
Lo guardo per un po’, poi vado a dormire.
La sera dopo lei non c’è. Ci sono tutti, manca solo lei. Bevo alla sua salute.
Quando torno a casa guardo il dito. Si è aperto in due ed è cresciuto.
A volte, durante le mie serate al bar, dei conoscenti si fermano al mio tavolino, parlano un po’, poi vanno via. Ascolto con interesse, e mi esercito a dare le risposte giuste al momento giusto. Mi rendo conto che siamo tutti uguali. Come topi, saremo gli ultimi ad abbandonare la nave. Vado a casa un po’ prima del solito.
Nel bicchiere c’è già una mano. La metto in un recipiente più grande. Mi piace la sua presenza nella mia stanza, e adoro la sua compagnia discreta.
“Fra un po’ dovrò metterti nella terra” penso.
Mi fissa.
— Ciao.
— Ciao.
— Sei tu, vero?
— In un certo senso.
— Sono contento di rivederti.
— Lo so, ho visto con quanto amore mi innaffiavi.
— Spero ti sia trovata bene nel mio giardino.
— Ero in buona compagnia. È un bel posto.
— Ti ho sognata molte volte. Mi chiedevo come sarebbe stato, se avresti ricordato…
— Sono sempre stata con te.
— Già. Scusami. Ho pensato spesso a questo momento, ed ora non so come fare.
— Andiamo sulla spiaggia?